NOVITà EDITORIALI DI DINO AUDINO EDITORE
Esce un nuovo titolo nella collana Drama, The Sopranos. Analisi drammaturgica della prima stagione. Si tratta di una delle serie più conosciute al mondo e, certamente, lo dico senza esagerare, la più studiata. È infatti considerata l’opera che segna una svolta nella serialità, non solo per i suoi contenuti ma per la complessità della sua struttura, per la coralità del suo racconto e per le sue modalità produttive.
Intanto una curiosità.
Il creatore della serie, David Chase, figlio di immigrati italiani, all'anagrafe di New York, dove è nato, era registrato come Davide de Cesare. Poi, secondo una lunga tradizione tra la gente dello spettacolo, ha voluto americanizzare il suo nome. A questo proposito è interessante ricordare quel bel libro di Giuliana Muscio Napoli-New York-Hollywood, da noi pubblicato, dove si racconta l’impatto significativo che attori, musicisti e registi italiani immigrati, soprattutto dal sud, hanno avuto sul cinema americano, tutti artisti che per primi – parliamo del 1895 in poi – hanno americanizzato i loro nomi.Chiuso l'inciso, torniamo alla rivoluzione apportata da questa serie tv, ma non solo in ambito drammaturgico, anche realizzativo. Come leggerete tra poco nei brani tratti da un’intervista, la grande rivoluzione apportata da I Soprano (e più in generale dalla grande serialità nel mondo dell'audiovisivo) riguarda quella rivoluzione copernicana che ha fatto tornare l’ideazione e la scrittura al centro del processo produttivo. Da lì in poi il creatore, cioè lo sceneggiatore che idea la serie, è chiamato a seguire passo passo tutte le fasi della scrittura come immagino faccia il grande architetto nel proprio studio con i suoi collaboratori. Cioè, avuta l'idea e fatto lo schizzo del progetto, porta avanti, insieme ad altri architetti, la fase esecutiva. Un’opera di architettura narrativa, come ci viene ben raccontato nell’intervista. Ma non solo: da lì in poi il creatore di una serie non si occupa più solo di scrivere. Nella grande maggioranza dei casi diventa showrunner cioè una sorta di produttore esecutivo che dirige tutta la realizzazione dell’opera, inclusa la scelta degli attori, delle location, delle musiche, degli stessi registi di episodio che, adesso, si occuperanno di eseguire alla lettera quanto c’è scritto nella sceneggiatura consegnatagli. Testimonianze di questa rivoluzione si hanno anche da altre interviste, come ad esempio quella rilasciata da Shonda Rhimes, la mitica creatrice di Gray’s Anatomy. In pratica, da I Soprano in poi a ribaltarsi è il potere – ecco perché parlo di rivoluzione – all'interno del cinema. Nel film il regista decide ogni cosa, compresa l'interpretazione della sceneggiatura, che spesso stravolge a suo piacimento. Nella serie, al contrario, è lo sceneggiatore-creatore che decide tutto e la regia è al servizio della storia. Chissà perché, altra rivoluzione, da lì in poi queste opere sono state chiamate “tv di qualità”…
Ma andiamo all’intervista agli sceneggiatori dei Soprano, del 2007, tratta dal numero 43 della rivista Script:
Mark Lee: Raccontami come è stata scritta la serie durante le famose lunghissime riunioni che sembravano senza fine.
Matthew Weiner: Quando partecipai la prima volta, fui molto sorpreso dal metodo. All’inizio David aveva la mappa di tutte le tredici puntate della serie divisa per episodi e per personaggi, in pratica quello che a grandi linee sarebbe dovuto accadere. Ovviamente, gli eventi non rappresentavano la trama di ogni singola puntata. È che una volta che hai individuato i punti focali per ogni personaggio, poi li devi inserire e far evolvere via via attraverso tutto l’arco delle puntate.
Mark Lee: Andrew e Diane, in quanto esperti sceneggiatori televisivi, sarete stati presenti a molte riunioni di altre serie. Avete notato una dinamica diversa nella realizzazione de I Soprano?
Diane Frolov: Sì, proprio per l’arco globale della serie. Si tratta di una cosa insolita, le altre serie su cui abbiamo lavorato erano a episodi e procedevano di puntata in puntata. Si aveva un progetto più labile per una stagione, ma, generalmente, non si sapeva bene dove si andava a finire.
Andrew Schneider: David invece ogni anno si presenta con un arco molto preciso per ogni personaggio. Nelle serie televisive a episodi è invece molto raro avere il tempo per farlo. A volte, ti capita di lavorare su 22 puntate l’anno. È come dover decidere: “chi uccideremo questa settimana e come risolveremo l’omicidio?”. Non hai mai l’opportunità di pensare un po’ più a lungo.
Matthew Weiner: Un’altra cosa che era nuova per me, che provenivo da puntate di mezz’ora, era che gli sceneggiatori non dovessero scrivere scalette. Esse vengono abbozzate da David e poi scritte, riscritte e ancora riscritte sempre da lui dopo infinite discussioni con noi. Dopo vengono ritagliate e messe insieme di nuovo, un metodo di lavoro molto insolito di questi tempi […]. Ti viene data la scaletta, che è anche molto breve, saranno tra le 35 e le 40 scene, a volte 45, altre volte 50. Hanno sempre una location, a volte si sa chi sono i protagonisti, si ha una parte del dialogo e si sa di cosa tratta la scena. Il tuo compito è di scrivere la puntata e di raccontare la storia.
Terence Winter: Le scalette non vengono fatte leggere al committente. Nessuno inizia nemmeno a scrivere la scaletta prima che David sia certo che tutti abbiano capito bene di cosa parla la storia. La puntata non parte finché David non si alza, si avvicina alla lavagna pulita e inizia a scrivere la scaletta. Questo succede dopo giorni, a volte settimane di discussioni attorno al tavolo. Solo a questo punto, quando tutto è chiaro a tutti, cominciamo a scrivere noi.
Interessante no?
Ah, dimenticavo… Tanto per capire il livello degli sceneggiatori intervistati, Wiener aveva appena creato la serie di culto Mad Man mentre tre anni dopo Winter creerà la serie, prodotta da Martin Scorsese e Mark Walhberg, Boardwalk Empire (L’impero del crimine).
Buona lettura.
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per il tuo commento!